Erano gli 60 e il maestro Manzi tracciava lettere e parole con il carboncino su grandi fogli. Era oggetto di benevole derisioni. Eppure grazie alle lezioni a distanza di Non è mai troppo tardi, pare che quasi un milione e mezzo di persone sia riuscito a conseguire la licenza elementare. Fu forse l’ultimo eroico e al tempo stesso domestico tentativo riuscito di contribuire all’unificazione culturale della nazione e di dare una speranza salvifica e di riscatto mediante l’istruzione.
Altro che maestro Manzi. Il ministro ricordando che la cultura non si mangia dentro a un panino taglia i fondi all’accademia della Crusca, soffoca bellezza e istruzione, avvilisce creatività e fantasia. Anche in questo caso la necessità ricatta i diritti, quelli a emanciparsi dalla sopraffazione iniqua e dalla povertà attraverso la conoscenza.
Se la beffarda irrisione rivolta al collega ministro per la sua statura mi fa orrore, ma sono scaramucce ripugnanti interne al governo dei cialtroni, le parole rivolte da Bossi al premio Nobel Levi Montalcini, la scienziata, detto come un insulto, mi turbano.
Che per i modernisti regressivi significa l’alimentazione dell’istruzione privata, la svalutazione della cultura come bene comune. Per la lega l’espressione della sua vocazione alla mediocrità, alla riduzione in miseria di aspettative e speranze, funzionale alla creazione di recinti territoriali nei quali richiudersi e “difendersi” dagli altri e insieme dal mondo degli altri, dal cambiamento, dal dialogo, dalla condivisione e dalla crescita che ne deriva e che è la più alta forma di sviluppo di una nazione. Quando tempo fa venne proposto di rinverdire nelle scuole l’educazione civica, ci fu una sollevazione dei pedagoghi di regime: si trattava secondo il premier e i suoi servi sciocchi, di un fazioso indottrinamento. Certo per chi vuole imporre un ethos populista e reazionario è una sconfitta accettare la cultura della democrazia e per chi pensa che debba avere l’egemonia la tecnica del mercato deve essere un cruccio una scienza indipendente.