Non sono mai stato un genio negli affari. Nella vita ho perso molto più danaro di quello che ho guadagnato. E’ appunto per questo che nella notte del 9 luglio 1992, sul mio conto corrente in Banca Commerciale, erano depositati circa 400 milioni di lire. L’importo derivava dalla vendita di una proprietà immobiliare della mia famiglia che ero stato autorizzato a cedere per coprire i debiti contratti a seguito di un’operazione imprenditoriale conclusasi in maniera fallimentare.
Fu così che io, debitore coscienzioso ma ormai praticamente sul lastrico salvato solo dalla comprensione di familiari fiduciosi, mi ritrovai a contribuire per la gigantesca cifra di due milioni e quattrocentomila lire al prelievo forzoso del sei per mille che Giuliano Amato impose retroattivamente sui conti correnti degli italiani con un decreto legge giustificato da un “interesse di straordinario rilievo”. Un prelievo ottuso, effettuato in modalità bovine, senza curarsi della contingenza che aveva portato ad assumere una certa consistenza dei depositi, senza distinguere tra le finalità dell’accumulo, senza curarsi minimamente dei danni inflitti. Fu l’esempio più palese della considerazione che Giuliano Amato aveva dei suoi connazionali: nulla.
A quei tempi, per guadagnare 2.400.000 lire con il lavoro ordinario che avevo deciso di fare, ci volevano due mesi di vita. Mi sentii derubato nella maniera più vile. In un paese normale si decidono misure anche gravi, ma con il consenso di una maggioranza parlamentare che dia un crisma di legalità. Quello di Amato fu solo un atto di barbarie giurisprudenziale, un’azione ottusa che fece retrocedere la civiltà giuridica di questo paese al tempo delle decime estorte ai contadini a colpi di alabarda. Ne ebbi tanto disgusto da riprendere con ferocia un’attività lavorativa redditizia che avevo deciso di abbandonare per questioni personali. In poco tempo recuperai il maltolto anche se più di una persona ebbe tristemente ed irreversibilmente a dolersene. Quando in una società si lede il perimetro entro il quale un uomo si sente sicuro, si mette in atto una degenerazione civile che non verrà mai compensata dalle risorse che si è riusciti a recuperare.
Se questa è la mia visione personale di quel provvedimento, vi allego un brano pubblicato da “Il Giornale” il 5 aprile 2006, quando Giuliano Amato era ancora poco gradito agli interessi dell’editore reale della testa. Lo ripropongo per intero perché ho la sensazione che i sentimenti per Giuliano Amato siano cambiati e “Il Giornale” possa avere la tentazione di oscurare i segni di un’antica inimicizia.
Nella notte fra il 9 e il 10 luglio 1992, indossata metaforicamente una tuta di seta nera alla Diabolik, il governo guidato da Giuliano Amato penetrò nei forzieri delle banche italiane prelevando il 6 per mille da ogni deposito. Un decreto legge di emergenza l’autorizzava a farlo: in quel provvedimento, varato mentre i mercati si accanivano sulla lira, erano state inzeppate alla rinfusa misure le più svariate. Dall’aumento dell’età pensionabile alla patrimoniale sulle imprese, dalla minimum tax all’introduzione dei ticket sanitari, dalla tassa sul medico di famiglia all’imposta straordinaria sugli immobili pari al 3 per mille della rendita catastale rivalutata. Prelievo sui conti correnti e Isi fruttarono insieme 11.500 miliardi di lire. Limposta straordinaria sugli immobili, nella migliore delle tradizioni italiane, perse subito il prefisso stra per diventare una gabella ordinaria: l’imposta comunale sugli immobili, ovverosia l’Ici.
Con il Paese sull’orlo del baratro, il dottor Sottile adottò misure grossier. La più nota ed esecrata fu appunto il prelievo sui conti correnti, che ebbe almeno il pudore dessere una tantum. All’ultimo momento, in Consiglio dei ministri, il titolare del Tesoro Piero Barucci propose, senza successo, di sostituirla con laumento dell’imposta sugli interessi bancari (una proposta analoga era stata fatta dall’allora vicedirettore di Bankitalia Antonio Fazio, preoccupato delle conseguenze della violazione notturna del risparmio nazionale). […] Le cose andarono diversamente da quanto Giuliano Amato aveva sperato: nonostante la cura da cavallo (manovra di luglio più finanziaria sfioravano insieme i centomila miliardi di lire), che portò l’economia italiana sull’orlo della recessione, la lira dovette uscire dal Sistema monetario europeo neppure tre mesi dopo quella notte di luglio, e nella primavera successiva il dottor Sottile si dimise. Venne chiamato Carlo Azeglio Ciampi, allora governatore della Banca dItalia, per formare un governo tecnico che traghettasse lItalia fuori dalla crisi.
Gli uomini si giudicano dalle loro opere e quando le loro opere falliscono dalle attitudini che le hanno guidate. Si può sopportare un’azione sgradevole, se si intuisce che dietro quell’azione c’è un disegno ispirato che, magari non si condivide, ma si comprende. Quando invece si percepisce l’approssimazione, la mancanza di visione sistemica e l’assoluta indifferenza nei confronti dei destini individuali, allora al disagio per la prepotenza si unisce il disprezzo per chi l’ha esercitata.
Ecco, se volessi definire correttamente il mio sentimento nei confronti di Giuliano Amato, la parola più giusta è “disprezzo”. Disprezzo per una competenza millantata e mai verificata dai fatti, disprezzo per una visione miope e ragionieristica dell’economia, disprezzo per una vita da Boiardo di stato condotta senza un attimo di fulgore, nascosto dietro le lenti degli occhiali, all’ombra di uomini potenti a cui affidare la propria furbizia ferina per l’esecuzione di azioni esecrabili.
E’ per questo che l’eventuale incarico a Giuliano Amato come presidente del consiglio, dopo le modalità vergognose che hanno portato all’elezione del capo dello stato, mi sembra l’ennesimo ed intollerabile schiaffo a chi, da anni, da questo paese viene sfruttato per alimentare la colonia di parassiti che ne hanno invaso il sistema nervoso.
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