Uno degli aspetti più interessanti del celebre maggio francese per chi lo voglia studiare è il “perché” potè accadere.
Non un generico “perché” sulle condizioni socio-politiche complessive, sullo stato dell’università in Francia alla fine degli anni ’60, bensì un perché molto specifico e focalizzato: perché potè accadere nonostante la contrarietà del PCF? In particolare, nonostate la contrarietà (o l’assenza, l’inerzia) dei giovani del partito comunista francese.
Badate, parlo di “contrarietà”, “assenza” ed “inerzia” non in termini assoluti -difatti, i comunisti parteciparono attivamente alle manifestazioni ed alle attività del maggio ’68- ma solo alla fase iniziale. Cito dalla pagina del PCF di wikipedia in francese:
“Durant les événements de Mai 68, le PCF est d’abord hostile au mouvement étudiant“.
Perché? Nuovamente, la stessa pagina di wikipedia è abbstanza utile nel fornirci una spiegazione, citando un manifesto di giugno dello stesso anno del partito comunista francese nel quale si afferma che lo stesso è stato il solo a
“dénoncer publiquement les agissements, les provocations et les violences des groupes ultra-gauchistes, anarchistes, maoïstes, ou trotskystes”.
Cos’era accaduto? Il PCF era stato per lunghissimo tempo il partito comunista “più stalinista d’Europa”; il più fedele alla linea dettata dall’URSS; il più ortodosso.
Ma com’era stato possibile mantenere tale ortodossia strettissima? Tout simplement perché il PCF -e la sua sezione giovanile- procedettero sin dagli anni ’50 a tutta una lunga serie di espulsioni di quegli esponenti “eterodossi” che sostenevano idee anarchiche, maoiste, trotzkiste…
Iniziando questa spiegazione, poche righe sopra, stavo scrivendo che il PCF rimase “puro”. Il concetto lo recupero qui, perché mi sembra il più eloquente: il partito comunista francese, tramite queste espulsioni, si mantenne ortodosso, puro, incontaminato da strane derive ideologiche del comunismo.
Ma pagò a carissimo prezzo tale scelta.
Mantenendosi puro negli anni antecedenti il 1968 (di qui il ’67 del titolo), il PCF si chiuse ad ogni influenza esterna, ad ogni nuovo contributo; di più: epurò volontariamente le proprie fila, cacciando chi non si conformava. Non solo il PCF non allargò le proprie fila, ma le decimò deliberatamente.
Così facendo, perse il controllo politico della maggioranza dei giovani, degli universitari, che non rinunciarono all’attività politica ma semplicemente si organizzarono al di fuori del PCF, senza coinvolgerlo.
La mia personale impressione è che il Movimento 5 Stelle stia -per volontà dei suoi leaders Grillo & Casaleggio- vivendo uno scenario simile. Il Movimento 5 Stelle si trova in una fase di “epurazioni”, di perseguimento della coerenza e purezza interna al Movimento tramite l’esclusione dei dissidenti. Per ragioni simili a quelle del PCF fra gli anni ’50 e ’60, Grillo (e Casaleggio: do per implicito che i due agiscano d’intesa) sta procedendo a questa selezione interna (“politico-darwiniana“, se vogliamo) basata sul principio di fedeltà al “verbo” del blog, ovvero del “megafono” Grillo: chiunque esprima dissenso dalla linea indicata dallo stesso, viene tacciato di “tradimento” e -salvo repentina abiura pubblica– viene spinto a lasciare.
Questo procedimento è interessante e meriterebbe un’analisi più approfondita, ma ne traccio solo un breve excursus: 1) il “colpevole” viene pubblicamente denunciato; 2) si invita lo stesso ad andarsene spontaneamente, cercando di far passare questa come una libera “scelta” di “tradire” M5S; 3) generalmente, l’accusato replica di non avere intenzione di andarsene, condividendo le idee del Movimento; 4) comincia allora il processo (pubblico o meno), nel quale si manifestano le tensioni fra “ortodossi” ligi al diktat del capo ed altri, eterodossi o titubati; 5) frequentemente, la decisione viene infine rimessa al blog.
Sottolineo un altro aspetto importante: questi continui “processi” interni hanno una funzione fondamentale dal punto di vista di Grillo. Essi non solo rinsaldano l’unità, eliminando gli elementi che potrebbero comprometterla; ma altresì sono uno strumento ottimale per testare e piegare la resistenza di coloro che meditano di ribellarsi, senza ancora farlo apertamente o che vi provano senza sufficiente convinzione. La logica, anche in questo caso, è semplice e ricalca l’esperimento Milgram: si sottopone il soggetto ad una tensione, uno scontro fra la propria coscienza ed un’altra forza esterna (sociale) coercitiva, quale il gruppo o l’autorità. Se il soggetto non riuscirà ad affermarsi, soccombendo alla pressione esterna, si piegherà alla volontà del gruppo o dell’autorità e vi si piegherà con tanta maggiore convinzione quanta era la forza che originariamente vi opponeva. Il procedimento è ben esplicato dal documentario televisivo francese La Zone Xtreme (può essere altresì utile l’articolo sulla resitenza sociale).
Fra l’altro, questo lavorio per indebolire la resistenza all’autorità viene alimentato da più parti, anche con una logica terribilmente sgradevole ed offensiva come quella della “gratitudine” verso Grillo che questi “miracolati” dovrebbero avere (se ben ricordo, Grillo stesso battezzo Rodotà un “miracolato”) -qui riportato da Stanlec nell’esempio di Diego Cugia.
Le parole di Cugia sono particolarmente efficaci, quindi le riporto: “Ma risparmiatemi questa Cosetta dei Miserabili dell’onorevole grillina Paola Pinna (laureata disoccupata che viveva con i genitori a Quartucciu, Cagliari, e con cento voti cento è diventata deputata al Parlamento) che invece di spargere petali di rosa dove Grillo cammina, sorge in difesa di una certa Gambaro, un’altra miracolata che si crede Che Guevara. Questa cosetta dei miserabili, intervistata da “La Stampa” che le domanda “Se la Gambaro venisse espulsa se ne andrebbe anche lei?” dichiara: “Se la scelta fosse tra Grillo e la Gambaro per me sarebbe una scelta tra schiavitù e libertà. Io scelgo la libertà.”
No, bambina, tu scegli di far parte di quella casta di paraculi che il tuo Paese, votandoti, ti aveva supplicato di togliergli dai piedi. Lo ripeto, le epurazioni non mi piacciono, ma dare dello schiavista a Grillo, al quale dovete tutto, ma proprio tutto, fa veramente vomitare […]“
Insomma, se la pressione del gruppo e dell’autorità non è abbastanza forte da piegare il dissenso, l’eretico viene espulso dal gruppo. Così, lo stesso rinsalda la propria compattezza, la propria identità, la propria coerenza interna eliminando tutto ciò che vi si pone in contraddizione.
Come per il PCF, questa è evidentemente una scelta di chiusura e di blocco rispetto agli sviluppo dialettici (e abbastanza naturali) di un gruppo, di una pluralità di persone -cui corrisponde inevitabilmente una pluralità di idee e visioni. Negare questa pluralità richiede un complesso lavoro psicologico e sociale: prima si denunciano le eterodossie come “tradimenti”; poi si procede ad espellerli.
Ma questa strategia ha come conseguenza l’incapacità del gruppo di percepire i movimenti sociali e di adattarvisi: il gruppo rinuncia al controllo della società e perde persino quello che aveva, focalizzandosi solo sui “duri e puri”, radicalizzandosi sempre più.
Di questo passo, non dovremmo stupirci se Grillo ed M5S dovessero perdere ulteriormente consensi elettorali.
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Ultima considerazione: ad ogni nuovo “dissidente”, ad ogni espulsione o parlamentare che lascia il gruppo di M5S si capisce meglio il senso della polemica di Grillo contro l’art. 67 della Costituzione (libertà di coscienza dei parlamentari): evidentemente, il “megafono” aveva intravisto il pericolo del dissenso ed aveva già individuato il modo migliore per mantenere compatte le proprie fila e subire senza grossi danni qualche perdita….
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