I sapori e la memoria di un conflitto


 

la bastarda di istanbulElif Shafak – La bastarda di Istanbul – 388 pagine. Rizzoli

Melograna, noci, cannella, riso e acqua di rose. Sono i sapori di Istanbul, di una città caotica e della sua cultura, così profonda e ricca di detti, come quello che recita “niente di ciò che arriva dal cielo va maledetto, nemmeno la pioggia”. Ma dove c’è luce c’è anche ombra e se quello è lo scenario nel quale viene ambientato il romanzo di Shafak, è il conflitto turco-armeno il vero protagonista di questa storia.

Due diversi punti di vista, due ragazze che nonostante le differenze e le ammissioni di colpe che riguardano il passato e i loro antenati, faranno amicizia e sarà attraverso questo rapporto che ogni conflitto sarà superato. La storia è ambientata tra Istanbul e gli Stati Uniti, dove molti armeni si sono rifugiati e dove è nata Amanoush che va alla ricerca delle proprie radici ad Istanbul, la città di sua nonna. Si fa ospitare dalla famiglia del suo patrigno turco, ed è in quella casa piena di donne, dove vivono 4 sorelle con la madre e la nonna affetta da Alzheimer, che incontrerà Asya, la figlia di Zehila (che la ragazza chiamerà comunque zia). Nei loro vissuti, per quanto diversi, troveranno diversi punti in comune, come la volontà di essere indipendenti e allontanarsi da una famiglia che tende a soffocarle.

Il conflitto armeno turco viene visto e analizzato, ma in un certo senso, quello che la scrittrice vorrebbe, è un suo superamento. Contrariamente a molte teorie che vedono il passato come qualcosa da dimenticare, per Shafak il passato torna, non è proprio possibile dimenticare. E’ il caos e la casualità che determina gli eventi che non sempre hanno una logica o un motivo di essere e avvenire. E’ il caso che determina gli intrecci di questa storia, dove si scopriranno legami insospettabili tra i personaggi.

E’ una casa di donne, dove ci sono profumi, dove i sapori dominano e il chiacchiericcio non smette mai, i consigli imposti seguono le ricette, una cultura forte che si impone ai turchi, quanto agli armeni. Interessante notare come questo libro inizi con il detto che niente che arriva dal cielo può essere maledetto e così finisce, in una circolarità che ci fa capire anche un certo ripetersi degli accadimenti umani. L’accettazione della vita, così come ci si propone è cosa consigliata, per il nostro bene. I simbolismi e le tinte forti, a volte, ricordano quelli dei mercati turchi, dove le spezie diffondo i forti profumi e l’occhio viene colpito dai colori delle polveri utilizzate in cucina. Ci sono pagine in cui sembra di udire i rumori della città e le sue luci. Sono pagine ricche di poesia anche, in parte per il linguaggio che a tratti si fa lirico, in parte per gli argomenti trattati che non risparmiano toni crudi e violenti, quando si parla del conflitto turco-armeno. Sono soprattutto le particolarità legate ai sapori, ad un caffè chiamato Kundera senza un reale motivo che ricordi lo scrittore ceco, ma con una passione che naviga l’atmosfera a catturare il lettore fino alla fine. Un ribadire che la Turchia ha una cultura occidentale, quasi come se fosse più una volontà che una verità e un ammettere che in realtà siamo in oriente, soprattutto se ci lasciamo affascinare dal movimento di un velo o dal sapore di un cibo. E nonostante tutto, quella favolosa Istanbul rimane nel cuore.

Bianca Folino

 

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