Debito pubblico italiano: soluzioni e falsi miti


Evoluzione del debito pubblico italiano

Esistono limiti alla crescita del nostro debito pubblico? Poiché ogni emissione di titoli di Stato è espressa in moneta corrente, il valore nominale del debito tenderà a crescere nel tempo; dividendo tale valore per il livello dei prezzi correnti si può giudicare se il debito cresce o meno in termini reali (rapporto Debito/PIL).

Spesso sentiamo nei talk televisivi la frase “È necessaria una riduzione della spesa pubblica” che avrebbe l’obiettivo di diminuire il tanto discusso debito. Da un lato la presenza di un avanzo primario facilita la riduzione del rapporto Debito/PIL, dall’altro, tuttavia, è necessario intervenire su una spesa che in Italia è già di qualche punto inferiore alla media UE con un livello di produttività del nostro apparato pubblico ampiamente inferiore.

Dunque, una riduzione della spesa primaria senza miglioramenti sostanziali nella qualità dei servizi pubblici si tradurrebbe in una perdita rilevante per il benessere dei cittadini (e già l’attuale situazione non è delle migliori).

Anche un aumento delle entrate contribuirebbe al miglioramento del saldo primario, quindi riduzione Debito/PIL, ma nella situazione italiana, in cui la pressione fiscale è di qualche punto superiore alla media UE (situazione ormai nota), un aumento della tassazione contribuirebbe solamente ad un ulteriore calo dei consumi e peggioramento delle aspettative degli imprenditori.

Quali possono essere quindi le soluzioni “migliori” per la riduzione del rapporto Debito/PIL?

Le politiche che i governi dovrebbero proporre devono riguardare lo sviluppo del reddito (il PIL sostanzialmente). Tuttavia con un debito enorme sarebbe difficile attuare manovre espansive tendenti a stimolare la domanda globale. Piuttosto, lo stimolo alla crescita andrebbe cercato in un riorientamento (e non tagli) della spesa pubblica e dei tributi che, da un lato, accentui l’efficienza della spesa e, dall’altro, abbia maggiori effetti di stimolo per l’attività economica privata.

Altre soluzioni possiamo trovarle nelle politiche di deprezzamento del cambio, cosa oggi non più possibile. Ancora nella gestione delle condizioni alle quali i titoli di debito pubblico sono emessi (riduzione degli interessi che sono circa 80 miliardi di euro annui); stesso obiettivo se si obbliga la BCE ad acquistare al momento dell’emissione i medesimi titoli.

Queste soluzioni rientrano nel quadro economico europeo (l’obiettivo futuro del Fiscal Compact sarà quello di far scendere dall’attuale 127% al 60% il rapporto Debito/PIL). Ma c’è chi con un debito molto più alto del nostro attua politiche economiche espansive, questo Paese è il Giappone. Il Paese del Sol Levante ha un rapporto Debito/PIL del 236% e un rapporto Deficit/PIL del 10%, con questi numeri il Giappone non rispetterebbe i parametri di Maastricht e verrebbe trattato come la Grecia. Come può il Giappone essere la terza economia mondiale con un debito così alto ma con una disoccupazione sotto il 5%? La risposta sembra scontata, lo è infatti. Il Giappone gode di sovranità monetaria, la Bank of Japan assolve il ruolo di prestatore di ultima istanza, inoltre il debito è detenuto dagli stessi giapponesi (debito interno). Quali sono i vantaggi? Due sostanzialmente: il primo è che il debito risulta protetto da attacchi speculativi (cosa che invece accade con il debito italiano), il secondo è che i cittadini finanziano, con i propri risparmi, il debito stesso.

Tralasciando il modello giapponese non più emulabile, il grande fardello del debito pubblico, o almeno il suo rapporto con il PIL, può essere ridotto attraverso diversi strumenti di politica economica senza peggiorare ulteriormente le condizioni dei cittadini; servirebbe solamente una classe politica in grado di utilizzarli.

Andrea F.

 

Una replica a “Debito pubblico italiano: soluzioni e falsi miti”

  1. Servono pure cittadini co la C maiuscola!

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