Le proposte economiche di Renzi (Job Act): alcune considerazioni


Pochi giorni fa l’ISTAT ha pubblicato i dati relativi alla disoccupazione in Italia, i numeri sono a dir poco allarmanti. Il tasso di disoccupazione è aumentato di 1,1 punti (su base annua) rispetto lo scorso anno, gennaio 2014 ha fatto registrare il 12,9% di disoccupazione (la media UE è al 12%). Il numero dei disoccupati è aumentato del 13,4% rispetto lo stesso periodo del 2013 e la disoccupazione giovanile ha ormai superato il 40% (42,4%).

Questi dati hanno allarmato il neo Premier Renzi che, scrive sui social, provvederà a mettere in moto la macchina del Governo al fine di far approvare la nuova riforma del lavoro, il cosiddetto Job Act.

Tale provvedimento consisterebbe nell’assegnare un sussidio di disoccupazione universale destinato a quanti perdono il posto di lavoro. Un sussidio simile c’è già ed è l’ASpI (Assicurazione Sociale per l’Impiego), tuttavia tale ammortizzatore sociale non contempla la sfera di lavoratori precari che in Italia superano il milione. Lo scopo del Job Act sarebbe quello di includere nel sussidio anche questa categoria da sempre ritenuta di serie B, oltre a contenere una serie di misure riguardanti contratti di inserimento e maggiori tutele nell’ambito lavorativo. La nuova AspI (ribattezzata NASpI) per il momento sembrerebbe spettare ai disoccupati che abbiano almeno 3 mesi di contributi versati per un importo che sarà al massimo di 1.100/1.200 euro. Tale importo andrà poi calando fino ad arrivare a 700 euro, il tutto previsto per un’arco temporale di 2 anni. Il piano vebberre a costare 8,8 miliardi di euro, altre stime parlano invece di 18 miliardi.

Si tratta di un piccolo passo in avanti. Da un lato, infatti, si riesce finalmente a tutelare quella categoria di lavoratori precari, dall’altro però il Job Act non contiene (per ora) nessun provvedimento per accrescere l’occupazione in Italia. Il Governo dovrebbe accompagnare le imprese, generatrici in prima istanza di posti di lavoro, ad investire maggiormente, innovandosi e aumentando così la produzione. Il tutto a favore di maggiori posti di lavoro e un aumento della domanda interna che avrebbe il ruolo di leva per far crescere di nuovo questo Paese. In che modo favorire questo accompagnamento? La via più semplice sembrerebbe quella degli sgravi fiscali, ad esempio verso chi reinveste gli utili (e forse il neo ministro Poletti sembrerebbe favorevole in questo senso).

Tuttavia, le ultime dichiarazioni del Premier al congresso del PES sembrano andare nell’opposta direzione; cito: <<Cercheremo di utilizzare il semestre di presidenza per un nuovo modello ma prima l’Italia deve adempiere ai propri compiti, mettere a posto il bilancio non perché ce lo chiedono le istituzioni ma per i nostri figli. I conti a posto non sono una richiesta di qualcuno fuori ma un impegno verso le nuove generazioni>>.

Mettere “i conti a posto” significa proseguire con le politiche di austerità proposte da Monti e Letta, il che vuol dire reprimere i redditi di imprese e famiglie peggiorando il cammino della crescita. L’austerità rischia al contrario di peggiorare i conti pubblici poiché i moltiplicatori fiscali fanno sì che tagliare 1 miliardo di euro riduce il reddito nazionale fino a 1,7 miliardi[1], facendo così aumentare il rapporto debito/pil.

Il Governo dovrà quindi adoperarsi per tutelare, come propone il Job Act, i lavoratori ma al contempo favorire la crescita occupazionale che, citazioni alla mano, non sembra essere il primo obiettivo.

Andrea F.

Job Act


[1] Fonte: dati estrapolati dal sito KeynesBlog.com

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