L’8 Marzo delle schiave dimenticate: storia di Adelina, ribellatasi al racket della prostituzione che ha fatto liberare decine di donne


Adelina è una bella ragazza albanese. Bella non solo nel senso “fisico”, ma totale: vivace nel dialogo, intensa, vera, sincera, intelligente. Schietta, di una schiettezza pulita e rara, la schiettezza di chi ha sofferto. Parla con me, in un italiano a volte incerto nella forma ma sicuramente molto preciso nei contenuti: praticamente l’esatto contrario di come parla la maggioranza dei miei connazionali, tanto sensibili ai “refusi” quanto vacui nei concetti.

Mi racconta la sua storia. Adelina è una delle tante ragazze cadute nella rete degli schiavisti e costretta al marciapiede. Nel 2000 si ribella, e si rivolge alle Forze dell’Ordine. In base alle sue dichiarazioni partì l’operazione “Acheronte”, che portò all’arresto di 28 schiavisti, oltre a numerose denunce a piede libero, ed alla liberazione di decine di “sorelle” abusate come lei. Adelina è una donna coraggiosa: da allora collabora con la Polizia, a rischio della vita (si, Signori, perché sembra strano ma ancora, in certi ambienti, si rischia di andare nella pagina della cronaca perché ti hanno trovata in un cassonetto fatta a pezzi: non sarebbe la prima. Ma tanto, per la “morale occidentale”, una “puttana” può pure crepare, no? Chi se ne frega?) e, dicevo, a rischio della vita non si accontenta di essere libera, ma lotta contro questo schiavismo spacciato, da alcuni liberisti da operetta, per “liberismo e conquista di un diritto”.

Nei giorni passati Adelina ha fatto una provocazione, per sensibilizzare al problema: ha di nuovo messo gli abiti succinti e sfacciati che, una volta, le imponevano i suoi aguzzini, si è messa addosso una telecamera ed è andata a documentare cosa succede in quegli ambienti. I filmati sono stati postati giusto poche ore fa, e non mancheranno di suscitare clamore.

Bene, direte voi, una persona così dovrebbe essere insignita come minimo della Medaglia D’Oro al valor civile. Concordo. Fatto sta che invece, a diciassette dico DICIASSETTE anni di distanza dal suo primo atto liberatorio, Adelina non ha neppure la cittadinanza: né italiana, né albanese e neppure apolide, nel suo stato c’è scritto letteralmente “xxx”. Pare una battuta, purtroppo non lo è. Non è una battuta, è una vergogna. E’ il fallimento dello Stato di Diritto, perché uno Stato che non si occupa di una cosa simile è una fiasco alla luce del mondo.

ORA. Io chiedo al Presidente Mattarella, alle Istituzioni ed alla Politica di usare meno blasoni e meno mimose e di fare più azione, poiché Adelina rappresenta la situazione che, ieri dall’Albania e oggi con i barconi dei disperati, riguarda migliaia di donne, molte minorenni, trascinate in uno schiavismo bestiale in un ambiente settario e spietato, ambiente del quale, a quanto pare in Italia si occupa solo chi rivendica il “diritto” di andare a sfruttare queste ragazze per poi andare con la moglie sottobraccio per il Corso il giorno dopo e di chi ne fa una questione, come al solito, di stramaledette tasse, in nome delle quali si giustifica ogni cosa ingiustificabile moralmente, civilmente e soprattutto, se mi permettete, umanamente.

Cari Signori, il “diritto della Donna” non si difende con frasi di circostanza, oceani di mimose, bei discorsi, promesse, prediche, slogan e citazioni. Si difende partendo dal basso, dalle radici, da dove le situazioni sono più scomode e sudicie, senza aver paura di prendere il raffreddore per l’enorme puzza di letame che sprigionano certi ambienti e che non possiamo certo eliminare facendo finta che non ci siano, o spruzzandoci sopra il deodorante nauseabondo della “legalità” in nome solo delle tasse, poiché ci manca lo Stato Magnaccia e poi secondo me l’Italia, ora come ora, è al completo. Serve coraggio e impopolarità, magari, ma senso della giustizia e misericordia: una parola tanto dimenticata che oggi, a pronunciarla, si rischia di apparire ridicoli in questa società di belve.

Buon 8 Marzo a tutte le donne. E ribadisco tutte.

Paolo S.

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